In un altro articolo avevo scritto in maniera poco polemica che se un bambino sa “usare” un PC/smartphone questo non è sinonimo di intelligenza, quanto di adattamento. In pratica fa la stessa roba di un topo che abbassa la leva dentro una gabbia per ricevere il formaggio. Via via impara come fare e poi applica lo stesso schema comportamentale perché lo soddisfa.
Questa riflessione si ricollega al fatto di aver sopravvalutato la generazione digitale e che il falso mito del “nascere con una tecnologia = saperla padroneggiare” è una baggianata di proporzioni cosmiche, ovviamente frutto delle stesse menti (adulte) che non riflettono sul fatto che
a otto anni un’auto non puoi guidarla solo perché non arrivi con i piedi ai pedali
…ma soprattutto perché a livello cognitivo non hai la maturità tale da capire che l’auto può essere un’arma, che esiste un regolamento da seguire (quello lo ignorano pure molti adulti) o che il bravo guidatore non è chi sa derapare ma chi sa anticipare le imprudenze altrui. La scuola italiana basa tutto sul principio del “c’è nato, allora sa” e la cosa ha un non so che di assurdo. Ma non sorprendente.
Un PON al giorno toglie il coding a scuola di torno. No, un momento, è il contrario.
Negli ultimi anni il Ministero dell’Istruzione, specie con l’avvento de La Buona Scuola, ha introdotto una parola che è tanto abusata quanto quella di “libertà” in politica: CODING.
Insegnare il coding a scuola pare la soluzione a tutti i mali, un po’ come se in previsione di un’apocalisse nucleare si spiegasse ai bambini come scuoiare topi per creare delle coperte o come ricavare acqua potabile dalle paludi. Comprensibilissimo, certo, ma i bambini in questione dovrebbero quantomeno essere in grado di camminare, se vuoi insegnargli come correre.
(N.B. Potrei essere cattivo e dire che sta fissa del coding a scuola deriva dai soldi dei PON che girano a scuola ma sarei troppo sincero per questo universo, quindi fate finta sia solo per il bene dei bambini…si si…)
Leggevo che secondo il rettore della Bocconi di Milano
…il nuovo inglese è il coding.
Ni, a mio parere. Intanto perché se il coding a scuola è insegnato come l’inglese, siamo messi maluccio.
Fonte: studio EF, 2013
Continua il rettore…
Il punto non è diventare un data scientist ma capire il linguaggio.
Io ho studiato coding a scuola nel lontano 1992, grazie a un professore di scuola media pioniere (visionario è dir poco, grazie professor Li Causi!) nel campo che, senza alcun ritorno economico, insegnò a noi bambinelli il Qbasic per creare piccole applicazioni su dei calcolatori Casio o Sharp come questi:
Mi è servito? All’epoca molto, ma i PC ancora erano costosi e comprai un 286 solo mesi dopo, usandolo per giocare a Prince of Persia. Ma mi aprì comunque le porte del mondo dove oggi lavoro. I tempi erano comunque diversi e, volente o nolente, dovevi proprio partire da capo e questa fu la salvezza, perché lui ne capiva molto più di noi. Oggi a livello funzionale
i ragazzi capiscono di PC molto più degli insegnanti e questi devono insegnare loro qualcosa che non sanno
Educazione digitale e educazione sessuale
E’ questo il problema. Spesso faccio il paragone tra educazione digitale ed educazione sessuale: entrambe necessarie, entrambe non pervenute nei contesti educativi. Solo che un insegnante di cinquant’anni un po’ più di esperienza (intesa come errori da cui ha imparato, non posizione del kamasutra) di sesso (vero, non quello che appare nei film porno) dovrebbe averne rispetto a un quindicenne e, modi permettendo, sarebbe pure legittimato a trasmetterla. Solo che nell’ambito dell’educazione digitale è come se il sesso fosse nato quindici anni fa, gli adulti non sapessero ancora bene come gestirlo mentre i ragazzi o addirittura i bambini sono pionieri nell’uso, pur essendo completamente a secco sui rischi. Chi insegna a chi?
Insegnare il coding a scuola è l’equivalente delle luci accese di giorno in autostrada
Questa fissa del coding a scuola mi ricorda moltissimo l’allora ministro dei trasporti che partorì la proposta (poi divenuta legge) di tenere le luci dell’auto accese anche di giorno nelle strade extraurbane. Il tutto scaturì da un viaggetto nei paesi scandinavi, dove notoriamente a mezzogiorno per diversi mesi l’anno le condizioni di visibilità sono certamente ridotte rispetto a quelle di Palermo al top di un’allerta meteo in pieno Dicembre. Quindi lì aveva senso, da noi no (beh, a meno che non si parli dei soldi che circolano tra carburante extra richiesto, lampadine da sostituire, batterie…).
Per il coding è la stessa cosa: là i bambini sanno usare il PC perché i genitori sanno farlo, nei musei è tutto interattivo da anni e la cultura digitale è al top. Da noi i genitori sono impegnati nella maggior parte dei casi a vivere una falsa vita sui social, a dimenticare come scrivere in italiano e a passare pranzi e cene con una mano alla forchetta e l’altra allo smartphone perché su Whatsapp il gruppo delle mamme augura a tutte buon appetito.
Ed è stato tutto un fluire di atelier digitali (forse perché di parrucchiere ce n’è già troppe e quindi ci sarà qualche strana cospirazione per promuovere i corsi per stilisti/e quando, uscendo se va bene dalla scuola superiore, i ragazzi non sapranno cosa fare), spese folli da parte delle scuole per l’acquisto di LIM (usate come proiettori), tablet (2 in 1, convertibili, pagati il 30% in più rispetto a quanto li metta Amazon…e quando ne compri a decine diciamo che la spesa non è indifferente, specie se poi impedisci agli insegnanti di stampare perché non ci sono i soldi per comprare i toner). Del resto,
dove c’è ignoranza, c’è speculazione.
Ma nella nuova terminologia, il mio preferito rimane Scratch, ossia un ambiente di sviluppo gratuito che può essere utilizzato per creare storie, piccoli giochi o altri strumenti utili per la didattica. E’ onnipresente sulla bocca di chi insegna coding a scuola e cerca di capire il perché lo faccia.
E’ il mio preferito perché ogni volta che esce fuori rivivo una delle scene più celebri del cinema italiano, tratta da SuperFantozzi:
Scratch l’ho sentito chiamare in quarantadue modi diversi, diciotto dei quali hanno generato pericolosi e infettivi schizzi di saliva. E per la cronaca, nove volte su dieci, l’espressione dei docenti mentre lo utilizzano tradisce due soli pensieri:
ma perché dobbiamo stare qui, che la classe ancora ha ancora idea di cosa siano le frazioni?
…ma soprattutto…
…schec…strech…skrec…sput!…
Che dicevo sull’insegnamento della lingua inglese?
Prima di insegnargli a cucinare, insegna al neonato a mangiare da solo
Se lo scopo ufficiale del coding a scuola, anche dell’infanzia o primaria, è quello di inculcare il pensiero computazionale ai bambini bla bla bla, pensare in modo algoritmico bla bla nessuno sembra ragionare sul fatto che tali aspetti non è che debbano essere insegnati da oggi, eh.
Si potrebbe dire che il coding a scuola serveperché i genitori (spiace dirlo, ma la responsabilità è loro…e mi ci metto pure io da genitore, di fronte alle facili tentazioni moderne) hanno smesso di far ragionare i figli.
Il coding mira al problem solving? Al delineare un piano d’azione che parte da un’idea e si realizza in un pattern di comportamenti finalizzati a uno scopo? A capire il rapporto tra causa ed effetto? Ma a questo punto, prima di metterli davanti a un PC, mettiamoli davanti a una scacchiera. Lì c’è tutto: pianificazione, strategia, problem solving, gestione dell’ansia, analisi dell’avversario…e non rovina gli occhi quando ancora si è nella fase dello sviluppo..
Vuoi imparare o insegnare il coding? Fatti aiutare da DOC della Clementoni
Il coding è ormai una fissa e non riesci a toglierti di dosso l’idea che tuo figlio potrebbe diventare un eremita se non lo apprende?
Viene preso in giro dai compagni non tanto perché la sua squadra del cuore ha perso ma perché il suo gattino su scrac…strach…scresh…insomma, quellonon si muove?
Sei rimasto umiliato perché quando un bambino ti ha chiesto cosa volesse dire Scratch in italiano hai pensato fosse il rumore che fa la camicia di Hulk quando viene strappata? (n.b. dall’inglese “to scratch” = “graffiare”)
Nella miriade di giocattoli inutili attualmente in vendita, c’è una mosca bianca scoperta lo scorso Natale e che
a) considero obbligatorio in qualunque scuola insegni coding, ben prima del 20.000 euro di materiale strapagato (ne vale moooolto meno se lo compri privatamente) e svalutato dopo mezz’ora perché già gira un virus inoculato dalla prima pendrive inserita
b) dopo quattro mesi è ancora al top degli interessi dei miei figli, cosa che qualunque genitore sa che si tratti di un miracolo
Si tratta di DOC, Robottino Educativo Parlante della Clementoni
…costa circa 26 euro (a volte cala pure a 19,90…ma se pensate che Elsa di Frozen ne costa OTTANTA…) ed è composto da un robot parlante con una pulsantiera sopra la testa composta da quattro pulsanti indicanti le direzioni, uno di conferma e uno per le azioni.
Il robot si muove su un tabellone double face (livello facile il giallo, difficile il blu che vedete qui sotto) e ha delle missioni da compiere. Nel gioco semplice, andare da un punto A a un punto B: partendo dal via, si programma il robot tramite frecce con il percorso da seguire (esempio: avanti, gira a sinistra, avanti, avanti, avanti). Nel gioco complesso, sono presenti punti intermedi prima di arrivare a destinazione (prima di andare in piscina, si va a prendere il costume) e ostacoli, come muri o lavori in corso, da considerare durante la programmazione del percorso.
Comprende tre livelli di difficoltà e mio figlio di quattro anni, a forza di incaponirsi con quello più difficile (studiato per gli 8) è riuscito a fare progressi che lo motivano ad andare avanti nonostante il terzo livello sia troppo complicato per la sua età. Ma ho capito che in quattro mesi qualcosa ha imparato quando, poco fa, negatogli il tablet per fare le ricerche vocali su Google (giuro), mi ha detto
Allora papà, facciamo così…Io mi comporto bene, raccolgo i giocattoli, metto la sveglia e tu mi dai il tablet per chiedere a Google cosa sono gli asparagi.
Altro che coding a scuola usando PC su cui ancora gira Windows Vista.
Uomo. Marito. Padre. Mi occupo di comunicazione sul web e marketing per professionisti e PMI. Scrittore per passione e narratore di aneddoti per diletto. Fedele al motto "Verba volant, scripta manent, internet docet".
Ciao,condivido pienamente tutto il tuo articolo,nelle scuole spendono in quanto nessuno controlla e ci sono l’ottanta% degli insegnanti incapaci.Mi protesti gentilmente dare un parere sul trading online?Se conviene o no parteciparvi?
Ciao Ennio, me l’avevano già chiesto di recente, eri stato tu? Sto scrivendo un articolo in merito, diciamo per adesso che è la classica speculazione come le scommesse: ti può andare bene ma puoi anche fare dei gran casini, per i quali i tentativi di recupero sono pure peggiori, come nel gioco d’azzardo. Non è un gioco iper redditizio e facile come viene dipinto.
Sono un’insegnante della Scuola Primaria. Ho appena terminato di accompagnare 26 alunni di terza, quarta e quinta in un percorso PON di coding. Il risultato non è avvincente in quanto ho potuto osservare numerose criticità: incapacità di lavorare in gruppo, di ascoltare e rispettare una consegna, insofferenza alla richiesta di programmazione, preferivano provare e procedere per tentativi. E’ evidente che non basta saper relazionarsi con uno smartphone, quello che manca è un atteggiamento positivo per trovare una risposta al problema. Io vedo altre emergenze, relazionali e regolative, prima del coding a scuola.
Tre anni di lavoro, con un pandemia di mezzo. Un'autobiografia in grado di mettere d'accordo tutti, visto che offre spunti di lamentela per chiunque. Però dicono sia esilarante.
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Ciao,condivido pienamente tutto il tuo articolo,nelle scuole spendono in quanto nessuno controlla e ci sono l’ottanta% degli insegnanti incapaci.Mi protesti gentilmente dare un parere sul trading online?Se conviene o no parteciparvi?
Ciao Ennio, me l’avevano già chiesto di recente, eri stato tu? Sto scrivendo un articolo in merito, diciamo per adesso che è la classica speculazione come le scommesse: ti può andare bene ma puoi anche fare dei gran casini, per i quali i tentativi di recupero sono pure peggiori, come nel gioco d’azzardo. Non è un gioco iper redditizio e facile come viene dipinto.
Sono un’insegnante della Scuola Primaria. Ho appena terminato di accompagnare 26 alunni di terza, quarta e quinta in un percorso PON di coding. Il risultato non è avvincente in quanto ho potuto osservare numerose criticità: incapacità di lavorare in gruppo, di ascoltare e rispettare una consegna, insofferenza alla richiesta di programmazione, preferivano provare e procedere per tentativi. E’ evidente che non basta saper relazionarsi con uno smartphone, quello che manca è un atteggiamento positivo per trovare una risposta al problema. Io vedo altre emergenze, relazionali e regolative, prima del coding a scuola.
Quanto hai ragione, Daniela! E’ come se volessero insegnare a bambini di due anni, non scolarizzati, come costruire un grattacielo.