Periodo di dichiarazione dei redditi, solito dilemma: a chi do il mio 5×1000?

“a nessuno!”

…rischiate di fare felice il vostro commercialista/caf, se questi rientra nella (piccola, ne sono certo, ma assolutamente reale) percentuale che mette (illegalmente) il codice della propria associazione o quella di una persona compiacente e firma (illegalmente) per voi. O vi fa firmare sperando non ve ne accorgiate. Per la cronaca, non parlo per sentito dire.

“a me stesso!”

…avete mica acquistato un bersaglio per giocare a freccette e trasformato ufficialmente il vostro bar in un circolo sportivo? (non avete idea di quanti l’abbiano fatto)

Vi sono poi gli indecisi, spesso in balia di campagne più o meno etiche mirate al loro accalappiamento. Prima di dirvi a chi (e perché) ho dato il mio, vi dico a chi non l’avrei mai dato.

Caso 1: “Se lui muore sarà tutta colpa tua”

Un paio di mesi fa, quando sono partite le campagne promozionali, in TV passava di continuo uno spot. Lunghissimo. Straziante. A mio parere anche offensivo. Spesso veniva mandato in onda durante l’ora di pranzo o immeditamente prima della cena.

Primo piano fisso di un bambino di qualche villaggio africano (quale?) malnutrito, sporco ma ben ripreso dalla telecamera. Già mi immaginavo la scena del cameraman occidentale che lo teneva piantato di fronte il suo apparecchio.

Un prodotto, nè più nè meno.

Inizia la musica struggente. Una voce dice in tono triste:

Ahmed (o qualcosa del genere) non arriverà a domani

Prima reazione: cambio canale. Un gesto istintivo, frutto di anni di bombardamento della pubblicità dell’Imodium durante i pasti. E già non mi pare un gran successo per la campagna.

Dopo i classici venti secondi di zapping, torno al canale che stava trasmettendo il programma che seguivo.

…perché Ahmed non conosce nemmeno la sua famiglia, è morta in guerra…

Cambio di nuovo. L’idea che il bambino fosse un prodotto si associa a quella che l’ente no-profit ha pagato il doppio del solito per una pubblicità più lunga. Altri venti secondi, poi immagino sia ricominciato il programma.

…e solo tu puoi aiutare Ahmed…

L’inquadratura fa uno zoom sugli occhi strazianti, con la musica ancora più cupa. A quel punto l’idea iniziale si era irreparabilmente tramutata in fastidio. Perché

a) i soldi non andranno ad Ahmed

b) non ho idea di chi li riceverà e come li utilizzerà. Non benissimo, a giudicare da come sono partiti.

c) l’ente (non ricordo nemmeno quale fosse, risultato terribile) ha pagato una cifra presumibilmente altissima per un minuto di pubblicità, il triplo del solito, ripetuta pure spesso. Mi si potrà ribattere che evidentemente il sistema funziona, altrimenti non avrebbero fatto questo investimento, ma credo che in ottica di brand reputation si siano dati una bella zappa sui piedi.

Risultato? Non mi hanno commosso, mi hanno profondamente infastidito, hanno utilizzato una pubblicità invasiva durante un momento conviviale o quantomeno di relax durante o dopo una giornata lavorativa. Non solo quindi non hanno ottenuto  il 5×1000 da me ma nemmeno da tutti quelli a cui ne ho parlato. Siamo stati una minoranza? Magari è così, ma giocare sul senso di colpa delle persone non è etico, indipendentemente dalla causa.

Caso 2: “Ricordati che al mondo non c’è solo gente felice”

Durante un progetto in una scuola, ho avuto modo di conoscere Rino Martinez, un cantautore palermitano che da anni guida un’associazione che si occupa di promuovere iniziative culturali ed opere umanitarie a favore dei bambini abbandonati, orfani, sfruttati, ex bambini soldato, malati di AIDS etc in vari villaggi africani. Non scriverò quale sia l’associazione per scelta, tanto basta cercare su Google.

Le immagini mostrate durante gli incontri con gli studenti mostravano mille Ahmed tutti insieme, molti dei quali ricoperti di piaghe e croste in tutto il corpo (roba mai vista negli spot preconfezionati) per malattie e disidratazione. Apparivano i nomi dei villaggi e la loro ubicazione. Apparivano anche le donne del villaggio, visto che buona parte degli uomini era in guerra. Si mostrava la vita quotidiana, le gravi mancanze ma anche l’immensa gioia di essere vivi e di non essere dipendenti da nulla.

E Rino Martinez? Era lì, protagonista con tutti gli altri missionari di un documentario che si distaccava dal tipico video promozionale, mentre prendeva in braccio i bambini, liberava dal fango il fuoristrada usato per spostarsi e partecipava in prima persona alle varie iniziative.

Primo pensiero personale: io non riuscirei mai a farlo. Sono realista e più che essere onesto, senza nascondermi dietro proclami ipocriti, non so cosa fare.

Secondo pensiero: merita tutto l’appoggio di questo mondo. Per quello che fa, per come lo fa, ma anche per il semplice momento divulgativo atto a sensibilizzare le nuove generazioni, inghiottite dal consumismo e convinte di essere felici grazie allo smartphone ultimo modello o la maglietta firmata.

Niente vendita, insomma. Niente senso di colpa. Giusto un semplice concetto:

“Il mondo è anche questo, non dimenticarlo”.

Il resto vien da sè. Non solo gli dono il mio 5×1000 (che peraltro nemmeno ha pubblicizzato durante l’incontro ma che ero certo avesse) ma faccio pure una donazione in contanti. Con tutto il cuore.

Cosa c’entra la brand reputation col il 5×1000?

Questo post è frutto di una lunga riflessione, che condivido anche qui: è giusto sfruttare il senso di colpa delle persone per ottenere delle donazioni (come anche vendere un prodotto o un servizio)?. Perché, per quanto rivolte a un ente che lavora in contesti di povertà, personalmente mi appaiono sotto forma di cappio al collo del tipo

Se non mi dai il tuo 5×1000 sei uno schifo d’uomo due volte, visto che tu stai mangiando il pollo arrosto e Ahmed è già tanto se mangia una mosca. Anzi, forse la mosca mangerà lui domattina. O stasera. O magari lo sta facendo anche adesso.

La risposta a cui sono giunto è ovviamente negativa. Ma questa ha aperto le porte a un’altra riflessione. Mi piace credere che gli operatori siano completamente disgustati da mezzucci di questo tipo. Che siano degli operatori di pace che lavorano in contesti difficili e che aspettano strumentazioni e sovvenzioni dalle sfere dirigenziali che, dal canto loro, si occupano dell’organizzazione e della ricerca di fondi.

Peccato che, in un’ottica moderna, dove la brand reputation scala prepotentemente la classifica delle discriminanti per amare o bocciare un’ente/azienda, un atteggiamento del genere non può che danneggiare l’intero sistema.

Puoi guadagnare tanti soldi, puoi impiegarli in progetti importanti, puoi cercare di assumere un’identità apparentemente messianica nel mondo e quant’altro, ma se il mio (e non solo il mio) ricordo sarà sempre degli occhi di Ahmed e del suo corpicino usato per raggrenellare soldi, non del tuo nome o del tuo logo, allora avrai fallito.